“Una storia autentica e incredibilmente poetica che fa risuonare le corde dell’amore, della fragilità umana e dello stupore che si prova di fronte alla vita”. Questa la chiave di lettura di “Per sempre” (ed. Giunti), il nuovo romanzo di Susanna Tamaro, una delle scrittici italiane più conosciute e amate in tutto il mondo. Ospite in diretta di Tele Padre Pio, lo scorso 27 maggio, pubblichiamo di seguito l’intervista.
“Per sempre”: una storia d’amore, di dolore e di speranza, in cui lei descrive perfettamente l’animo umano: come ci riesce?
Dovrebbe essere una delle caratteristiche degli scrittori occuparsi dell’anima più profonda. Naturalmente in questi tempi diventa difficile, perché tutto ci porta ad essere superficiali, distratti, ad essere altrove. Io, avendo avuto questa vocazione, ho deciso di fare una vita quasi monacale per dedicarmi alla scrittura. Per raggiungere certi livelli di concentrazione, di capacità di emozionarsi e di descrizione bisogna fare una vita completamente dedita alla propria vocazione.
In quasi tutti i suoi romanzi da “Va dove ti porta il cuore” fino a “Luisito”, lei racconta non solo il dolore ma anche la speranza…
E’ uno dei compiti essenziali in questi tempi così disperati e privi di orizzonti. Vogliamo rimuovere il dolore, ma resta un dato ineliminabile della nostra vita. Solo attraverso il dolore e la sua comprensione, abbiamo la possibilità di rinascere, nel senso della speranza altrimenti si tratta di rinascite fittizie.
La speranza è l’orizzonte verso il quale dobbiamo tendere e ogni libro che scrivo deve lasciare qualche seme nel cuore e nella mente di chi legge.
Seme che poi, in qualsiasi momento della vita di chi lo legge, potrà germogliare in una via di comprensione maggiore della propria esistenza anche interiore.
Leggo un passo del romanzo, pagina 51: “Di quanto dolore sono fatte le nostre vite? Di quanto dolore evitabile? Alle volte penso che al momento della nostra morte non vedremo scorrere tutta la vita, come dicono ma soltanto una piccola parte – i gesti d’amore mancati, la carezza non fatta, la comprensione non data, quel muso inutile tenuto troppo a lungo, quella caparbietà nutrita soltanto di se stessa (…) e tutto ciò che abbiamo mancato comincia a pesare sul nostro cuore, ma il tempo ormai è andato e non torna più indietro”.
E’ una delle mie pagine preferite. E’ così facile scivolare nella chiusura e nell’egoismo. Ci sono i dolori veri, reali e quelli inutili, dovuti al nostro egoismo alla pigrizia mentale, alle piccole cattiverie e questi sarebbero evitabili se guardassimo con purezza il nostro cuore.
C’è un altro passo che amo molto, quello in cui si parla del matrimonio, in cui i protagonisti si promettono di non rinfacciarsi mai niente. Anche nell’amicizia, nelle convivenze arriva un punto in cui si comincia a rinfacciarsi le cose, e quando inizia nel rapporto d’amore è entrato un tarlo che comincia a devastarlo in maniera gravissima.
Il protagonista ad un certo punto decide di ritirarsi in montagna per ritrovare se stesso: quanto c’è di autobiografico nel romanzo?
Per riscoprirsi e andare a fondo a se stessi bisogna avere una vita coltivata interiormente, in solitudine, contemplando la natura. Quello che c’è di autobiografico nel personaggio sono innanzitutto tutte le osservazioni sulla natura. Come dico sempre se non facessi una vita benedettina, se non mi occupassi diverse ore al giorno del lavoro manuale, e non avessi in questi anni accumulato una grande conoscenza della vita degli animali, delle piante, non avrei potuto fare tantissime metafore nel libro.
Nella nostra essenza profonda siamo tutti pastori, coltivatori, dal punto di vista reale e spirituale. Per cui tutta la parte emozionante della natura è dovuta alla mia ventennale pratica agricola e pastorale.
Sono una persona che ha avuto un’infanzia difficile, ha sofferto molto, ho dovuto fare i conti con la sofferenza e allora questo mio essere ritirata è stato un modo per rielaborare questo dolore e riuscire a farne qualcosa di fecondo e positivo, anche per gli altri, attraverso la scrittura.
Leggo un altro passo del suo libro, tratto dalla lettera che il padre scrive al figlio: «Non sono le cose che facciamo che danno qualità ai nostri giorni, ma come le facciamo (…) ci deve essere dignità e grandezza in ogni singolo gesto». Dignità e grandezza, due parole che sembrano non avere più spazio nella nostra esistenza.?
Viviamo un tempo davvero privo di padri, il Padre del cielo e i padri terreni. E dunque il personaggio del padre in questo libro è fondamentale per far capire cos’è un padre: è colui che genera e rigenera.
Ho voluto rappresentare questo personaggio profondamente etico, fedele ai valori più importanti dell’uomo. La dignità e la rettitudine sono i cardini della nostra vita, e oggi questo è un libro molto controcorrente. Penso che siamo ad un punto della nostra vita in cui le persone abbiano un vuoto interiore, una tale disperazione, che c’è bisogno di testimoniare una diversa visione del mondo, un diversa profondità e umanità.
Il suo romanzo più famoso “Và dove ti porta il cuore, oltre ad aver venduto 15 milioni di copie in tutto il mondo, è stato inserito fra i 150 “Grandi Libri” che hanno scandito la storia d’Italia. Come ha accolto questa notizia?
Sono stata felice perché credo veramente che questo libro abbia segnato per tante persone un momento della propria esistenza e delle proprie storie.
Ha cambiato la vita a tante persone, è stato uno spartiacque, lo so perché ricevo centinaia di lettere con testimonianze dirette. E’ un libro che viene spesso riletto, perché a seconda dell’età che abbiamo siamo in grado di arrivare ad una diversa comprensione della storia. E’ libro più letto nei conventi…
Qual è il suo rapporto con la fede?
Sono una persona credente, non l’ho mai nascosto. Per me la fede è la luce, la gioia della mia vita e anche quando scrivo è il faro che mi guida.
La fede non è un pacchetto postale, come pensano molti che non credono, ma è il più della volte un lungo cammino, fatto anche di oscurità, di momenti di confusione, però una vita in cui c’è la fede, è sempre una vita in cui hai la bussola in mano.