Da anni la politica si sta impegnando con leggi e provvedimenti nel tentativo di ridurre la portata degli incidenti stradali che coinvolgono un numero molto alto di giovani e rappresentano una delle preoccupazioni più sentite dagli italiani.
Quali sono le colpe di tali incidenti? Quale percentuale è legata all’alcol? Qual è la percezione degli italiani rispetto a questo fenomeno? E ancora: il tema va affrontato in un’ottica di ordine pubblico, di salute pubblica, di disagio giovanile e sociale, di ricadute sul tessuto economico? Quali potrebbero essere, se vi sono, le alternative alla situazione esistente, nel quadro di un proficuo intervento pubblico?
Nel tentativo di cercare risposte, Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) ha commissionato all’istituto Piepoli una ricerca dove viene messo in evidenza che cosa in realtà sta succedendo su strade e autostrade, quali sono gli effetti delle misure adottate a partire dall’introduzione della patente a punti per finire alle cosiddette “ordinanze creative” dei Sindaci.
Provvedimenti presi sulla base delle emozioni collettive non risolvono le problematiche ed anzi rischiano di crearne di nuove. Nel dibattito politico le opinioni sono spaccate a metà: la frangia proibizionista e la frangia di chi dimostra di aver inquadrato esattamente la situazione. Se non verrà fatta piena luce sui veri “colpevoli” degli incidenti stradali si rischia di perseguire e perseguitare l’imputato sbagliato, lasciando che i “serial killer” agiscano ancora indisturbati. Secondo la ricerca svolta dalla Fipe e dall’Istituto Piepoli, dunque, solo il 3% degli incidenti stradali avvenuti nel 2007 sarebbero riconducibili a stati di alterazione psico-fisica del conducente derivanti dal consumo di alcolici. Nel restante 97% va quindi inclusa la guida distratta, l’eccesso di velocità, il mancato rispetto della distanza di sicurezza e, secondo quanto afferma Nicola Piepoli, la casualità. Una lancia da spezzare quindi a favore dell’impresa vinicola, sostenuta dal Ministro delle politiche agricole Luca Zaia, ma anche un invito a riflettere, perché la soluzione non può essere solo l’andare a piedi.