Il 23 maggio si è celebrato il XXII anniversario delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, da Civitavecchia è salpata la nave della legalità, che ha portato a Palermo circa 1.500 persone, fra studenti e docenti, in ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La nave, organizzata dal Ministero dell’Istruzione e dell’Università in collaborazione con la Fondazione Giovanni e Francesca Falcone, rappresenta il momento conclusivo del percorso di educazione alla legalità e al contrasto delle mafie che per tutto l’anno viene portato avanti nelle scuole italiane, attraverso progetti didattici specifici. La scuola, infatti, rappresenta uno strumento fondamentale nella lotta contro la mafia, attraverso la diffusione di una cultura della legalità. Abbiamo chiesto a suor Anna Monia, legale rappresentante delle Scuole Marcelline Italia, di spiegarci che significa secondo lei educare alla legalità e come la scuola oggi opera rispetto a questa necessità.
«La scuola – ci dice con fermezza suor Monia – può e deve fare molto rispetto a ciò, ma saprà educare nella maniera corretta solo nella misura in cui riuscirà a formare cosciente critiche, a stimolare un pensiero critico e costruttivo. Ci sono due modi di affrontare la società in modo critico – ci spiega – quello che disfa, che rompe, o quello di chi cambia la società dal di dentro. La scuola deve fare questo, deve educare i propri giovani a maturare il loro pensiero critico, dandogli gli strumenti giusti per farlo, e per fare questo, come dice papa Bergoglio, occorre che i nostri docenti abbiano un pensiero aperto. Purtroppo oggi in Italia, invece, accade, troppo spesso, che la cultura del pregiudizio arrivi sempre prima della cultura del giudizio, e le nostre scuole dovrebbero impegnarsi, invece, a rovesciare questo sistema». Parlando poi delle nuove generazioni suor Monia ci dice: «i nostri giovani hanno, fortunatamente, una coscienza critica verso le mafie verso l’illegalità ben superiore rispetto a quello che recepiscono, purtroppo, dai cattivi esempi che gli vengono dalla società. Questi giovani meriterebbero degli adulti capaci di riuscire a dare il giusto esempio, adulti capaci di trasformare le piazze in dialogo e confronto e non in attacchi, scontro e corruzione. Le stragi mafiose domandano e meritano memoria, ma sono un presente che ancora grida, perché sono stragi silenziose alle quali assistiamo ogni giorno. Affinché i nostri giovani abbiano viva la memoria non basta raccontare ma è necessario che la nostra vita racconti le cose giuste, con il giusto esempio, come diceva Falcone “chi tace e piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola”. Allora l’auspicio è che noi tutti davvero si muoia una volta sola».