“In Cristo siamo popolo regale, sacerdoti per il nostro Dio” è il titolo della rubrica curata dal prof. Giovanni Chifari, docente di Teologia Biblica, offerta agli amici di Tele Radio Padre Pio ogni martedì sera, subito dopo la liturgia dei Vespri, come piccolo “strumento” per una crescita personale che scaturisce da un impegno generato dalla Parola di Dio ascoltata, meditata, celebrata e condivisa. Vi proponiamo alcuni stralci tratti dalla puntata del 19 gennaio 2010 realizzata nel corso della rubrica dedicata all’Anno Sacerdotale.
In questa puntata, che tra l’altro cade nella Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, vogliamo riflettere su un testo che è considerato cardine del ministero petrino che affonda le sue radici nella imperscrutabile volontà divina. Richiamiamo quel contesto e le parole di Gesù e la risposta di Pietro.
La professione di fede è una professione personale e di esistenza. Se Pietro ( Mt. 16, 18) ha potuto farlo non è stato per le sue doti particolari o per la sua intuizione ed intelligenza, ma perché glielo ha rivelato il Padre nei cieli. La professione di fede è un atto dell’uomo che nasce dalla rivelazione di Dio. Per arrivare all’atto di fede l’uomo deve rientrare in se stesso, in quello che si chiama coscienza, e lì, nella sua coscienza, mettersi davanti a Gesù. È nella sua coscienza che l’uomo sente di “dovere” fare una professione di fede, non di “poterla” fare. È in qualche modo il dovere della mia vita, perché quello è il senso vero della mia vita. Questo non vuole dire che l’atto di fede non sia un atto libero, che ci venga senza che noi lo vogliamo o lo scegliamo. L’atto di fede è un atto straordinariamente libero, un atto che l’uomo deve porre compromettendo liberamente se stesso.
In che modo Pietro professa la sua fede? Quale il senso della risposta di Gesù?
Pietro professa la sua fede: “Tu sei il Cristo…”, e Gesù a lui: “Tu sei Pietro…”: Gesù gli cambia nome, gli dice chi è, gli affida una missione, gli cambia la vita, dona se stesso a lui. E Pietro permette tutto questo. Pietra è roccia e vuole naturalmente indicare una realtà solida, robusta, che non si muove, che rimane salda. È il simbolo della solidità. È quasi comico che Gesù applichi questo simbolo a Pietro, perché Pietro non è molto stabile, non è una gran roccia in sé. Pietro si rivelerà, nella sua vita, una persona fragile, debole, paurosa; al momento del processo di Gesù è sufficiente che una serva lo accusi, perché subito rinneghi di conoscerlo. Ora, se ricordiamo, nell’Antico Testamento, l’immagine della roccia è riferita generalmente a Dio stesso: Dio è ‘roccia’. Il Salmo 18 dice: “Ti amo, Signore, mia forza, mia roccia, mio liberatore..”. Dicono che, dietro a questa immagine ci sia un ricordo mitologico, l’immagine tipica di quella rupe originaria che sta in mezzo all’oceano e che poi è fondamento su cui è stata impostata la terra. Quindi, in mezzo alle acque, che sono caotiche e pericolose e instabili, c’è una roccia, una roccia solida. Questa roccia è Dio. Cosa significa questo? Pietro è un uomo debole e limitato e instabile, ma ha fatto una professione di fede; quando uno fa una profesisone di fede in qualcosa, assume le qualità di quello in cui crede. Se un uomo si aggrappa a Dio, con la professione di fede, appoggia la sua vita su di Lui e assume le proprietà e la fisionomia di Colui in cui crede, cioè Dio.
Gesù mostra amore per la sua Chiesa. Commentiamo la frase “… edificherò la mia chiesa”.
Tutta la vita di Gesù ha avuto come scopo di edificare la sua chiesa. Una chiesa, una comunità, una assemblea che fosse la ‘sua’, cioè che riceve la vita da Lui. La chiesa vive di quell’energia che riceve da Gesù. È proprio perché riceve la vita da Gesù, vive anche secondo il vangelo di Gesù. Quindi ‘la mia chiesa’ vuole dire una comunità che ‘mi appartenga e mi esprima’, nella quale Gesù possa esprimere se stesso.
Quale missione la dovrà caratterizzare? Quale lotta?
Questa nuova realtà non sarà soggetta alla morte. Tale è il significato dell’oscura espressione semitica. Gli inferi indicano il mondo sotterraneo dei morti e stanno a rappresentare la morte stessa e la caducità di tutte le cose. Per capire meglio bisogna ricordare che per l’antichità la realtà era divisa in tre fasce: il cielo che era la dimensione di Dio, la terra che rappresentava la dimensione dell’uomo e il sottoterra che costituiva la dimensione dei morti. Queste tre dimensioni non erano in comunicazione tra loro. Gesù, con l’incarnazione (la discesa dal cielo), la passione, morte, discesa agli inferi, risurrezione e ascensione (ascesa al cielo) mette finalmente in comunicazione queste tre dimensioni. Dire che le porte degli inferi non prevarranno contro questa comunità significa affermare che la chiesa non è una semplice realtà terrena, giacché non è soggetta al potere della morte e non è destinata a finire come tutte le altre cose. Nella chiesa, fondata sulla roccia, agisce già la potenza della risurrezione.