Nonostante l’evolversi dei tempi e il cambiamento rapido e continuo delle mode e dei significati, resta inconfutabile l’importanza che alcune cose hanno sempre nella nostra vita e per la nostra stessa realtà umana. Penso soprattutto a pilastri portanti del nostro essere, come ad esempio la famiglia, i genitori, gli affetti più cari e intimi, insostituibili.
In questa direzione oggi, che ci sentiamo ancora pieni dell’atmosfera del Natale, vorrei cercare di puntare l’obbiettivo della mia analisi sulla figura del padre, da sempre recepita facilmente come giusto complemento di quella materna, ma non sempre, però, apprezzata per il suo equo valore.
Entriamo in contatto, fin dalle prime ore della nostra vita, con questa figura così determinante attraverso il suo sguardo, il suo sorriso, la tonalità della sua voce, il calore del suo abbraccio. Sensazioni profonde che piano piano permeano ogni esperienza che facciamo nella nostra infanzia colorandola con i toni più o meno forti di una sicurezza; la certezza di quella presenza con noi nel gioco come nelle realtà di vita, nei primi problemi o difficoltà, nelle prime relazioni, nelle prime frustrazioni come nelle prime conquiste o gioie. Lui, il padre, è sempre con noi, i suoi no ci fanno scoprire e comprendere il significato e l’importanza delle regole disegnando i primi confini del nostro agire, i primi tracciati protetti dei nostri primi e indimenticabili percorsi di vita.
Percepiamo quasi da subito l’autorità paterna come depositaria della verità e della giustizia, non in tutte le situazioni dalla nostra parte, ma ne sentiamo sempre chiara l’unicità, la forza, la concretezza, sicuramente orientate al nostro bene.
L’insieme di regole, di principi, di credenze, di significati condivisi, esperiti in questa fondamentale relazione, diviene a poco a poco parte importante della nostra vita, entra in noi e con essa anche l’immagine del padre viene interiorizzata come legge morale dentro di me…questo processo fa sì che il padre possa essere con il figlio anche quando materialmente assente, anche oltre i limiti stessi della vita.
L’idea di padre che ci portiamo dentro include in sé, poi, in realtà, quella di tutta una serie di padre del padre che lega nella nostra storia personale quella delle diverse generazioni familiari. Sì perché il padre che ho dentro, e che ho conosciuto come figlio, mi aiuta o mi aiuterà a diventare padre nella mia vita con i miei figli. E a trasmettere loro un’idea di padre per il loro futuro.
Una sorta di trasmissione ereditaria d’identità in una giostra dell’esistenza che propone e ripropone valori e affetti vissuti di generazione in generazione, di padre in figlio.
Ma la particolarità della filosofia della paternità è che essa non ha bisogno di essere legata all’aver generato un figlio. Infatti è possibile che un genitore non diventi mai padre e che invece sia padre perfetto anche un uomo che non ha mai generato un figlio. Il genitore è necessario per nascere, un padre è indispensabile per vivere, per aiutare i figli a vivere e a diventare padri. Essere padre significa conquistare e svolgere quel ruolo con continuità e coerenza, viverlo come un’acquisizione continua, che non può essere appresa se non per tentativi ed errori, una vera conquista.
La grandezza, dunque, non sta nel generare, ma nel diventare veramente padre.
Io penso che l’esercizio della misericordia dovrebbe partire proprio da qui, dall’interno della famiglia; ogni uomo-genitore dovrebbe davvero adoperarsi per diventare anche padre del figlio messo al mondo e scoprirsi educatore nell’amore, nei sentimenti prima di tutto.
Perché se l’amore c’è, il figlio sicuramente lo sente e solo così può imparare a riconoscerlo, senza bisogno di dimostrazioni alternative fatte di regali o elargizioni varie, entrate nel gioco relazionale con la pretesa di sostituire un valore che non potrà mai essere sostituito in quel rapporto.
Se l’amore c’è, anche l’autorità paterna si colora di toni diversi per il figlio e viene percepita nel giusto modo come orientata al bene e non come prevaricazione o potere coercitivo.
La pedagogia del padre è una pedagogia fondata su un amore che si prefigge di educare nella straordinaria singolarità di quel particolare modo di rapportarsi.
Ed essa è possibile anche quando non si è generato mai un figlio proprio perché per essere educatori nell’amore è necessario solo che questo circoli nel giusto modo assicurando un’armonia del rapporto ed eventualmente dell’intera famiglia.
Occorre solo esserci veramente in quella relazione. Senza se e senza ma. Sempre.
E’ per questo che non ha senso parlare di un padre se non all’interno della sua relazione con quel figlio.
Anche nell’ambito di una stessa famiglia, il rapporto che il padre ha con ciascuno dei suoi diversi figli non è mai lo stesso proprio per l’unicità e la particolarità di ogni singola relazione. Il padre, dunque, è prima di tutto colui che c’è sempre … sia che ascolti, comprenda, condivida, consigli, incoraggi, aiuti, perdoni, sia che punisca, vieti, sgridi, disapprovi, rimproveri, perché in questo modo guida.
Lo scopo della paternità è sicuramente la serenità e la felicità dei propri figli, attraverso la guida delle scelte e contemporaneamente la tutela della libertà di scegliere. Occorre per questo non confondere mai le due diverse dimensioni esistenziali… il padre resta sempre padre, non un amico del figlio, bensì un modello di amore maschile a cui poter alzare lo sguardo in ogni momento di bisogno per attingerne sicurezza e audacia. Ed è proprio la qualità di quello sguardo filiale il feedback più importante per un padre, feedback che lo informa su come venga percepito dal figlio il suo modo di fare il padre e che diventa così anche il modo più sottile e specifico di regolare in maniera impercettibile tutta la significatività stessa di quella relazione.
Ma per realizzare questa comunicazione circolare occorre che ci sia un contatto vero padre-figlio, occorre il tempo e la disponibilità di ciascuno di potersi guardare negli occhi profondamente, senza resistenze.
Occorre che ciascuno sia connesso, on line nel contatto emotivo con l’altro, perché è così che un figlio può arrivare a quella sicurezza e stabilità affettiva tanto importanti per la sua vita e che sono il dono più grande che un padre possa fare.
Il padre, poi, essendo anche contemporaneamente il compagno di vita della madre, dà in questo modo al proprio figlio la possibilità di sentirsi parte di un sistema saldo di affetti in cui tutti i componenti si amano vicendevolmente con rinforzi spontanei reciproci della propria capacità di donarsi.
Colpisce come i gesti e i comportamenti dei padri siano sempre più silenziosi di quelli materni…accompagnati da poche parole essenziali fino ad essere molte volte anche proprio senza parole.
Il compito di difendere, proteggere ed educare il proprio cucciolo rientrano in un dovere che ha radici antiche e che trova il suo senso nel senso stesso della vita.
Senza bisogno di parole.
E siccome è l’atmosfera del Natale ad aver mosso in me queste riflessioni non posso non pensare alla figura di San Giuseppe all’interno della Sacra Famiglia, figura da cui è partito il mio primo pensiero ispiratore.