Nove prigioniere politiche e di coscienza detenute nel carcere di Evin, nella capitale iraniana Teheran, hanno intrapreso uno sciopero della fame per protestare contro i trattamenti degradanti cui sono sottoposte dal personale femminile della prigione.
Amnesty International ha chiesto alle autorita’ iraniane di proteggere tutti i detenuti dalle vessazioni e dai trattamenti degradanti, indagare sulle denunce delle nove donne e chiamare a rispondere i responsabili.
Un altro sciopero della fame e’ intanto in corso: Nasrin Sotoudeh, avvocata per i diritti umani condannata a sei anni di carcere, rifiuta il cibo dal 17 ottobre per protestare contro il divieto di incontrare i parenti, compresi i suoi due figli, e di fare telefonate alla famiglia.
"Le autorita’ iraniane devono annullare il divieto di visite dirette in carcere e non adottare misure punitive nei confronti delle detenute in sciopero della fame, che hanno diritto a cure mediche fornite da personale medico competente in accordo coi principi di etica medica relativi alla confidenzialita’, all’autonomia decisionale e al consenso informato – ha dichiarato Ann Harrison, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Nordafrica di Amnesty International – queste donne sono in carcere solo per aver esercitato pacificamente i loro diritti alla liberta’ d’espressione, riunione e associazione. Devono essere rilasciate immediatamente e senza condizioni" – ha aggiunto.
Bahareh Hedayat, attivista del movimento studentesco ed esponente della Campagna ‘Un milione di firme’, per porre fine alla discriminazione contro le donne nelle leggi iraniane, sta scontando una condanna a 10 anni di carcere per ‘offesa al presidente’, ‘offesa alla Guida suprema’ e ‘riunione e collusione per commettere crimini contro la sicurezza nazionale’.
Zhila Bani Ya’ghoub, giornalista pluripremiata e attivista per i diritti delle donne, ha iniziato a scontare il 2 settembre una condanna a un anno di carcere per ‘propaganda contro il sistema’ e ‘offesa al presidente’. Al termine della pena, scattera’ il divieto di svolgere attivita’ giornalistiche per 30 anni.
Zhila Karamzadeh-Makvandi, attivista del movimento delle Madri di parco Laleh (precedentemente conosciute come le Madri a lutto), sta scontando una condanna a due anni di carcere per ‘aver fondato un’organizzazione illegale con l’obiettivo di danneggiare la sicurezza dello stato’. Le Madri di parco Laleh si battono contro le violazioni dei diritti umani, tra cui uccisioni illegali, arresti arbitrari, torture e sparizioni forzate, che hanno colpito molti dei loro figli nel corso delle proteste seguite alle elezioni del giugno 2009.