Si aggiunge un nuovo tassello nella ricostruzione della profezia di Padre Pio all’on. Aldo Moro circa la sua tragica morte.
Ho incontrato nuovamente, il 30 ottobre scorso a San Giovanni Rotondo, il gen. Antonio Cornacchia, che da comandante del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Roma ha indagato sul rapimento e sull’omicidio dell’allora presidente della Democrazia Cristiana, dal quale dipendeva il maresciallo Oreste Leonardi, caposcorta dello Statista. Nella circostanza ho domandato al generale: «In quale occasione e come è venuto a conoscenza del colloquio tra il Cappuccino stigmatizzato e Moro?». E Cornacchia mi ha rivelato: «Leonardi me lo raccontò quando rientrò a Roma dopo l’ultimo incontro tra il Frate e lo Statista (avvenuto il 15 maggio 1968 n.d.a.). Padre Pio non fu esplicito, ma giocò con il cognome del suo interlocutore, dicendo: “Moro, moore… Moro, moore…”. Il diretto interessato capì e restò turbato. Ma per essere sicuro di aver capito bene, chiese al suo caposcorta: “Che cosa avrà voluto dire?”. E Leonardi, che pure aveva intuito l’infausto senso di quelle parole, cercò di sdrammatizzare e rispose solo: “Evidentemente Padre Pio stava scherzando”».

Ad avvalorare l’impressione che l’esponente democristiano abbia compreso il senso di quell’apparente gioco di parole, il gen. Cornacchia mi ha riferito quanto aveva già scritto nel suo penultimo libro, intitolato Giustizia non fatta. Pasolini, Moro, Pecorelli (Armando Curcio Editore 2020): il giornalista Mino Pecorelli (nato a Sessano del Molise nel 1928 e ucciso a Roma nel 1979) «nell’articolo intitolato “Dovevano uccidere Moro”, pubblicato il 19 novembre 1967, indica i particolari di un tentativo di sequestro e, se del caso, assassinio del leader democristiano, colpevole di aver consentito l’accesso al governo al Psi». […] Un agguato che, secondo Pecorelli, avrebbe dovuto essere realizzato da un commando agli ordini del tenente colonnello dei paracadutisti Roberto Podestà» (p. 91).

È sorprendente e inquietante la similitudine fra quanto accaduto nel 1978 e ciò che aveva scritto, ben undici anni prima, il giornalista di origine molisana sul suo settimanale Il nuovo mondo d’oggi: il tenente colonnello «avrebbe comandato un reparto di ranger e dopo aver messo fuori combattimento la guardia del corpo del presidente, lo avrebbe fatto prigioniero trasferendolo in una località sconosciuta. […] Stando a quello che dichiara l’ufficiale, in un giorno imprecisato del 1964 egli fu avvicinato da un funzionario di un non precisato ministero, il quale lo informò che alcuni alti personaggi avevano bisogno della sua opera di soldato e patriota. Il piano […] prevedeva di eliminare l’onorevole Moro, già allora presidente del Consiglio, e di fare in modo che la colpa ricadesse su elementi di sinistra. […] L’ufficiale ha aggiunto, per colorire il dramma del racconto, che durante la prigionia, Moro avrebbe potuto essere ucciso: questa evenienza veniva lasciata a discrezione di chi avrebbe dato ordini per lo svolgersi delle varie fasi del colpo militare» (pp. 92-93).

L’on. Aldo Moro è tornato a San Giovanni Rotondo anche dopo la morte di Padre Pio. Certamente il 6 giugno 1976, meno di due anni prima del suo rapimento e del suo assassinio.
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