“Questo sarà il secolo dell’Asia e dell’Africa”: con questa affermazione Qin Gang, appena nominato Ministro degli Esteri cinese nel 2023, iniziava il suo discorso ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia, scelta come tappa del suo primo viaggio all’estero. In effetti, sia le nazioni europee che gli Stati Uniti d’America stanno progressivamente perdendo il loro status di potenze egemoniche mondiali con il baricentro economico del globo che si sta lentamente ma inesorabilmente spostando verso l’Asia e l’Africa. I motivi di questo cambiamento epocale sono ancora poco conosciuti da noi europei abituati a considerare l’Africa soltanto come luogo di sofferenza e di miseria. Il classico stereotipo dell’Africa come origine della “bomba migratoria” che si sta abbattendo sul Nord del Mondo ci impedisce di vedere i grandi cambiamenti politici, economici, culturali, sociali, sanitari e persino religiosi che stanno attraversando l’Africa del Terzo Millennio. A raccontarceli, attraverso le parole di autorevoli personalità africane, è Federico Rampini, giornalista italiano naturalizzato statunitense, nel suo ultimo saggio intitolato “La speranza africana. La terra del futuro, concupita, incompresa, sorprendente”.
Il libro – edito da Mondadori – è stato presentato ieri dallo stesso Autore presso la Comunità di Sant’Egidio a Roma. Nella conferenza stampa, sono intervenuti anche Mario Giro (politico e membro della Comunità di Sant’Egidio), Catherine Cornet (giornalista e ricercatrice francese), Marco Impagliazzo (presidente della Comunità di Sant’Egidio) e Roberto Zichittella (collaboratore di diverse testate giornalistiche tra cui Famiglia Cristiana).

L’Africa (anzi, le Afriche, come sottolinea Rampini) è un continente immenso con una superficie più vasta di Cina, India e Stati Uniti messi insieme. Nei 54 Stati in cui è divisa convivono quasi 1 miliardo e mezzo di persone. E’ l’area geografica più diversificata del pianeta per il numero delle entità etniche e linguistiche (oltre 2mila). Ma il dato più impressionante da cui occorre partire per capire l’Africa del XXI secolo è quello demografico. La popolazione africana è infatti quella che cresce più di ogni altra parte del mondo, è la più giovane del pianeta ed è quella che si sta urbanizzando più rapidamente. Il boom demografico associato alle enormi risorse energetiche e naturali di cui è ricco il Continente Nero sta modificando la consistenza degli strati sociali della popolazione con la comparsa di un ceto medio costituito da una nuova classe di imprenditori ed investitori privati. Sebbene il debito dell’Africa verso l’estero rappresenti ancora l’ostacolo più grande allo sviluppo della sua economia (nel 2024 si prevede che i paesi africani dovranno pagare 74 miliardi di dollari di interessi!), i consumatori africani sono quelli il cui potere di acquisto cresce più velocemente al mondo. In molte nazioni il numero dei lavoratori è in aumento con alcune attività industriali che stanno diventando veri e propri colossi economici. Basti ad esempio pensare all’industria cinematografica nigeriana che è la terza al mondo dopo quella americana ed indiana o all’industria manifatturiera del Sudafrica che è la prima al mondo nella produzione di birra e cellulosa. Anche il settore terziario (servizi e turismo) è in rapida espansione con alcuni Stati quali Kenya e Seychelles che sono famosi in tutto il mondo per le loro straordinarie bellezze naturali.

Accanto a questi lati positivi non mancano tuttavia le ombre. Il problema forse più rilevante è rappresentato dalla crisi dei sistemi democratici con conseguente instabilità politica e conflitti militari. Le guerre combattute in Africa hanno da una parte impoverito la popolazione bloccando lo sviluppo economico e distruggendo le infrastrutture e dall’altra favorito il commercio illegale di armi e di materie prime che hanno consentito arricchimenti illeciti. La corruzione e l’instabilità politica ed economica hanno peraltro favorito – in alcuni paesi africani – un “neocolonialismo” da parte di potenze straniere (in primis la Cina) e di grandi multinazionali (nel settore minerario e petrolifero). A contrastare il neocolonialismo politico ed economico è la nascita di un fenomeno nuovo che Rampini definisce “protagonismo africano”. In altri termini, i paesi del Continente Nero si stanno costruendo una propria identità (politica, economica, culturale, ecc.) con la quale intendono rivedere i rapporti di forza con il resto del mondo. Alcuni segnali di questa “agency” (o “protagonismo”) si sono già manifestati con il voto in sede ONU a sostegno delle risoluzioni di condanna all’invasione russa in Ucraìna dove gli stati africani hanno costituito un blocco significativo tra quelli che si sono astenuti. Altro segnale rilevante del “protagonismo africano” è stata l’ammissione – nel 2023 – di tutti gli Stati dell’Unione Africana al gruppo dei G20, un evento considerato impensabile fino a qualche anno fa. Ma la partecipazione al tavolo dei grandi non deve far pensare ad una sorta di riallineamento: l’Unione Africana è infatti su una strada di “de-occidentalizzazione” e vorrà sempre di più in futuro rivendicare l’autonomia delle sue scelte.
Intimamente correlato a questo fenomeno con cui l’Africa sta faticosamente creandosi una propria autonomia ve ne è un altro: la creazione di una propria immagine agli occhi del mondo. In Europa, e soprattutto in Italia, quando si parla di Africa si pensa subito ad un concentrato di guerre, disastri ambientali e colpi di stato. Lo stereotipo più negativo è rappresentato dai “barconi della morte” che attraversano il Mediterraneo per approdare alle coste italiane riversandovi centinaia di migranti africani che fuggono dalla violenza e dalla disperazione. E’ ora che gli europei si liberino di questo “miserabilismo” come efficacemente sottolineato da Catherine Cornet nel suo intervento. L’Africa non deve essere “oggetto di compassione, pietà, autocolpevolizzazione […] che invariabilmente sfociano in una cultura degli aiuti più dannosa che utile” scrive Rampini. E’ invece necessario rispettare l’autonomia africana valorizzando i lati positivi delle popolazioni africane e. in particolare, la “risorsa antropologica”. Sostenere i giovani africani significa allontanarli da quel tragico destino che comporta soltanto tre vie di uscita: combattere, fare soldi o andarsene. Si devono necessariamente trovare altre opzioni come ad esempio creare tra Europa e Africa partnership strategiche da pari a pari.

In questo senso si inserisce quella che Impagliazzo ha scherzosamente ribattezzato la “postilla italiana” ovvero il Piano Maffei con il quale il nostro Governo si è impegnato a destinare cospicue risorse finanziarie ai paesi africani. Il Piano prevede interventi in diversi ambiti quali la cooperazione allo sviluppo, la promozione di esportazioni e di investimenti, l’istruzione e la formazione, la ricerca e l’innovazione, la salute, la sicurezza alimentare, lo sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, l’ammodernamento e il potenziamento delle infrastrutture. L’augurio è che il Piano Maffei diventi un Piano Europeo con il quale contrastare la deriva antidemocratica e l’indebitamento che sono i due grandi problemi che l’Africa dovrà affrontare nei prossimi anni.
La conferenza stampa si è conclusa con qualche cenno autobiografico di Rampini che ha voluto ricordare come la moglie Stefania lavori fianco a fianco con i volontari di Sant’Egidio per aiutare i senza tetto di New York. Ed è questo il motivo per cui Rampini ha scelto la Comunità di Sant’Egidio per presentare in anteprima nazionale ed unica il suo libro sull’Africa.