“Non è bene che l’uomo sia solo. Curare il malato curando le relazioni“: è il tema del Messaggio di Papa Francesco per la 32ma Giornata Mondiale del Malato (GMM) che si celebrerà domani, 11 febbraio 2024. Tale Giornata fu istituita nel 1992 da Papa Giovanni Paolo II perché diventasse per tutti i credenti “un momento forte di preghiera, di condivisione, di offerta della sofferenza per il bene della Chiesa e di richiamo per tutti a riconoscere nel volto del fratello infermo il Santo Volto di Cristo che, soffrendo, morendo e risorgendo ha operato la salvezza dell’umanità” (Lettera di Giovanni Paolo II per l’istituzione della Giornata Mondiale del Malato, 13 maggio 1992).

Significativa la data scelta da Papa Giovanni Paolo II. L’11 febbraio infatti ricorre ogni anno la memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes, al cui Santuario sui Pirenei accorrono milioni di infermi da tutto il mondo per invocare la grazia della guarigione. L’11 febbraio 1984 – esattamente 40 anni fa – Papa Giovanni Paolo II consegnava al mondo l’Enciclica “Salvifici Doloris”, una straordinaria riflessione sulla sofferenza umana. E infine, l’11 febbraio 1985, sempre Papa Giovanni Paolo II istituiva – con la Lettera Apostolica Dolentium Hominum – la Pontificia Commissione della Pastorale per gli Operatori Sanitari, successivamente confluita nel Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale che si occupa di “questioni che riguardano le migrazioni, i bisognosi, gli ammalati e gli esclusi, gli emarginati e le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime di qualunque forma di schiavitù e di tortura”, in altri termini, di tutti coloro che soffrono nel mondo.
La GMM è quest’anno incentrata sul tema della vicinanza al malato. Gli uomini sono stati creati da Dio per stare insieme e non da soli. La solitudine o, peggio, l’abbandono spaventano l’uomo soprattutto nel momento in cui – a causa di malattie serie – si diventa fragili e bisognosi dell’aiuto fisico e morale degli altri.

“Pensiamo – dice Papa Francesco – a quanti sono stati terribilmente soli, durante la pandemia da Covid-19: pazienti che non potevano ricevere visite, ma anche infermieri, medici e personale di supporto, tutti sovraccarichi di lavoro e chiusi nei reparti di isolamento. E naturalmente non dimentichiamo quanti hanno dovuto affrontare l’ora della morte da soli, assistiti dal personale sanitario ma lontani dalle proprie famiglie”. Situazioni tragiche che ancora riviviamo pensando alle immagini televisive dei Reparti di Rianimazione o al convoglio di camion militari carichi di bare trasportate da Bergamo in Emilia per l’impossibilità di seppellire o cremare le salme dei pazienti.
Ma Francesco non può non ricordare un’altra umanità sofferente, quella rappresentata da uomini e donne che – a causa delle guerre – si trovano “senza sostegno e senza assistenza”. Le scene di morte e devastazione provenienti dall’Ucraina e dalla Terra Santa così come anche da molte altre parti “dimenticate” del mondo sono nelle coscienze di tutti.

Esiste inoltre – continua il Papa – un’altra grave condizione di sofferenza umana che non può essere dimenticata: quella che si riscontra nei paesi che godono di pace e di grandi risorse in cui gli anziani più fragili o i malati vengono lasciati soli o abbandonati in nome di una vera e propria “cultura dello scarto”. Figlia di uno spietato e disumano individualismo, “che esalta il rendimento a tutti i costi e coltiva il mito dell’efficienza”, la cultura dello scarto valuta non più necessario assistere le persone quando per anzianità, disabilità, malattia o povertà “non hanno più le forze necessarie per stare al passo”.
Per tale motivo, il Santo Padre sollecita le istituzioni politiche a mettere in atto strategie e impiegare adeguate risorse economiche affinché venga garantito a tutti il diritto fondamentale alla salute e l’accesso alle cure. D’altronde questo messaggio è già presente nel nostro ordinamento giuridico con l’articolo 32 della nostra Costituzione che recita che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Un principio costituzionale pienamente accolto nella Legge 833 del 1978 che istituì il Servizio Sanitario Nazionale e che prevedeva venissero assicurate “condizioni e garanzie di salute uniformi per tutto il territorio nazionale”. Ad oggi, lo squilibrio che di fatto esiste all’accesso alle cure fra le Regioni del Nord e quelle del Sud, penalizza sensibilmente non solo le aree economicamente più depresse del nostro Paese ma anche e soprattutto le fasce di popolazione più povere e bisognose. E’ pertanto fondamentale che a livello politico nazionale venga accolto il messaggio del Papa e di tutti coloro che si richiamano ai valori di solidarietà umana che sono alla base della convivenza civile.

“La prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia – continua Francesco nel suo messaggio – è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza”. Un’affermazione semplice ma forte che fa subito ritornare in mente un altro “famoso” messaggio, quello che San Pio da Pietrelcina rivolse il 5 maggio del 1958 ai medici di “Casa Sollievo della Sofferenza”, a due anni dalla inaugurazione del Suo Ospedale: “Voi avete la missione di curare il malato. Ma se al letto del malato non portate l’amore non credo che i farmaci servano molto. L’amore non può fare a meno della parola. Voi come potreste esprimerlo se non con parole che sollevino spiritualmente il malato? Portate Dio ai malati! Varrà di più di qualsiasi altra cura”.
L’amore verso il malato e, in generale, verso chi soffre è fondamentale per lenire le sofferenze e condurre, quando è possibile, alla guarigione. Ma è altrettanto importante – e qui il Pontefice si rivolge all’ammalato – “dare significato e valore all’angoscia, all’inquietudine, ai mali fisici e psichici che accompagnano la nostra condizione mortale”. Ma ciò è possibile? L’Apostolo Paolo ci dà la soluzione che è alla base dell’Enciclica “Salvifici Doloris” di San Giovanni Paolo II. Si può trovare un senso alla sofferenza umana soltanto se con la fede riusciamo a sentire la nostra sofferenza come parte della sofferenza di Cristo. Grazie all’opera salvifica di Cristo, infatti, all’uomo è stata data la speranza della vita eterna. La vittoria sul peccato e la morte che Cristo ha riportato con la Croce e la risurrezione, pur non abolendo la sofferenza ed il dolore umano, getta “sull’intera dimensione storica dell’esistenza umana […] e su ogni sofferenza […] una luce nuova, che è la luce della salvezza”.
In questa giornata – conclude Francesco – dobbiamo portare compassione e tenerezza agli ammalati e a tutti coloro che soffrono a causa dei mali del mondo, sostenendoli altresì nella loro fede nell’opera salvifica di Cristo. Tutti siamo chiamati ad imitare il comportamento del Buon Samaritano che – come riportato nella celebre parabola del Vangelo di Luca – vide l’uomo ed ebbe compassione e, dopo che ebbe compassione, si prese cura di lui.