Il prossimo 20 novembre padre Giuseppe Ambrosoli, il medico missionario comboniano, sarà beatificato. La cerimonia di beatificazione, rinviata già due volte a causa del Covid, sarà in Uganda, dove padre Giuseppe è sepolto. Medico chirurgo e missionario comboniano, padre Giuseppe fondò a Kalongo, nel nord dell’Uganda, fra il 1957 e il 1959, l’ospedale che porta il suo nome: l’Ambrosoli Memorial Hospital e la scuola di ostetricia st. Mary Midwifery School. Quando padre Giuseppe arrivò a Kalongo, nel febbraio del 1956, in un villaggio sperduto nella savana, nel nord dell’Uganda, trovò ad attenderlo un piccolo dispensario medico – una capanna con il tetto di paglia – che sarebbe diventato per trent’anni tutta la sua vita. Grazie alla sua grande professionalità, all’instancabile dedizione e alla sua incrollabile fede, padre Giuseppe riuscì a trasformarlo in un ospedale efficiente e moderno, che porta oggi il suo nome, unico presidio sanitario in un’area vasta, isolata e poverissima: la prima strada asfaltata si trova a circa 150 chilometri, il primo centro urbano dista tre ore di auto. Accanto all’ospedale fondò anche la st. Mary’s Midwifery Training School, oggi ufficialmente riconosciuta come una delle migliori scuole di ostetricia del Paese. In sessant’anni si sono diplomate in questa istituzione d’eccellenza più di 1.300 ostetriche. Una significativa e ambiziosa sfida in un Paese che registra un indice altissimo di disparità di genere e dove le donne sono fortemente discriminate. Oggi sua nipote, Giovanna Ambrosoli, porta avanti la missione a Kalongo con la Fondazione Ambrosoli e, intervenuta nella puntata di Viandanti sulle Strade del Vangelo di lunedì scorso, ha spiegato come l’ideale comboniano “Salvare l’Africa con gli africani” sia l’ideale che ancora ispira la missione della Fondazione. «Salvare l’Africa con gli africani – ha detto – significa cercare di renderli autonomi il più possibile. L’Ospedale, infatti, oggi è interamente ugandese, i medici italiani che ci sono, e sono una minoranza, sono solo di supporto. La struttura è diretta da un medico ugandese e tutto lo staff è del posto. Questo significa sostenerli, lavorando molto sulla formazione, cosa che noi come Fondazione facciamo, sostenendo i loro percorsi personali in modo da far accrescere le loro competenze, le loro professionalità e di conseguenza la loro autonomia».
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