La convivenza è possibile: parola di Vittorio De Luca, scrittore, saggista, autore televisivo italiano. "Siamo tutti migranti. La convivenza possibile" (ed. Paoline) è il suo ultimo libro.
Siamo tutti migranti: un’affermazione o una domanda?
Penso sia un’affermazione. Migrare è una condizione universale che coinvolge tutti i viventi, quasi a voler ricordare che la terra è di tutti e che i confini geografici non possono condannare le persone alla “stabilità” perenne. Noi tutti siamo migranti, abbiamo lasciato la nostra terra, il paese di origine, raggiungendo altre città per lavoro o studio, insomma per una vita diversa. Il bisogno di muoversi, esplorare nuovi mondi, fuggire dalla povertà e dalle guerre si ripete nelle varie epoche della storia umana. E’ un fenomeno antico, tanto che il tema dell’ospitalità attraversa anche la Bibbia, dove si evidenzia che il l’incontro e l’accoglienza sono sacri: “Chi accoglie lo straniero, accoglie Dio e riceve in dono benedizione e abbondanza”. Pedro Vianna, della rivista francese “Migration Société” ci ricorda che “migrare è una realtà che accompagna l’umanità fin dalla sua comparsa sulla terra. L’essere umano è sempre migrato e sempre migrerà”.
Il nostro paese, tra i paesi industrializzati, è quello che ha registrato il maggior numero di migranti: quasi trenta milioni espatriati dall’unità d’Italia ad oggi. Altro dato significativo: oggi gli abitanti italiani emigrati nello stato di San Paolo, in Brasile, sono il 44% della popolazione. Nell’area metropolitana di New York risiedono 2.700.000 italiani (dati Fondazione Migrantes 2012). Ormai tutte le grandi città del mondo assistono a una netta crescita del fenomeno migratorio. Londra, ad esempio: secondo il censimento del 2011 i bianchi inglesi non sono più la maggioranza della popolazione della capitale. Oltre Quattro milioni di stranieri sono arrivati solo nell’ultimo decennio. Una grande metropoli multietnica.
Come la Chiesa italiana si pone nei confronti del fenomeno migratorio?
Con accoglienza e prudenza. Negli anni ’80, quando il fenomeno migratorio era appena iniziato, ma crescente, il fondatore della Caritas romana don Luigi Di Liegro affronta, con lungimiranza e coraggio, il problema dell’immigrazione. Le persone che giungevano qui in Italia, fuggivano (e tuttora fuggono) dalla fame e dalla povertà, provenienti in particolare dai paesi africani, Don Luigi, su questo problema, invia un messaggio forte ai fedeli: “Dimmi chi escludi e ti dirò chi sei”. Nel 1997, pochi mesi prima della sua morte, affermava: “adoperiamoci innanzitutto per superare il concetto di stranieri, perché siamo tutti pellegrini verso un mondo nuovo. Non dimentichiamo che il razzismo è una bestemmia verso Dio, padre di tutti, e che la xenofobia, come ha sottolineato Giovanni Paolo II, è in contrapposizione diretta con il sentimento cristiano. Questi immigrati vengono tra noi per dirci ‘siamo fratelli’. Basterebbe tener presente che, tutto sommato, ogni volto di immigrato reca una propria storia, una propria identità, una propria umanità, una propria religione.”
Che cosa potrebbe fare la Chiesa oggi per il fenomeno migratorio? Si può fare di più. L’invito di Giovanni Paolo II “aprite le porte a Cristo” è un messaggio rivolto anche alle strutture della Chiesa (parrocchie, conventi, congregazioni, associazioni, fedeli). Un invito quindi ad aprire le porte, a non aver paura a guardare al fenomeno migratorio con serenità e coraggio e con iniziative, attraverso l’informazione, corsi di lingua italiana e conoscenza delle leggi (Costituzione) del paese che li ospita.
Razzismo e indifferenza: quale dei due tarli è più difficile da estirpare oggi?
La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948 sancisce che tutti gli essere umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza (cfr. Art. 1). A ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà senza distinzioni di razza, colore, sesso, lingua, religione, opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita, o di altra condizione (cfr. Art. 2). E’ questa la prima riflessione che riguarda noi tutti, ossia interrogarsi sul valore della persona umana, di qualunque provenienza. Nessuna comunità e nessun individuo possono ritenersi immuni dal pericolo del razzismo e del pregiudizio etnico che vanno individuati e combattuti, soprattutto nel processo educativo, che coinvolge la famiglia e la scuola. Nessuno nasce razzista, come scrive il maestro Giuseppe Felicetti nel libro-ricerca “Italiani, per esempio”, il sentimento più comune fra i bambini più piccoli è la curiosità nei confronti dell’altro e il piacere di stare insieme. Il cambiamento nelle relazioni avviene quando si entra più in contatto con il clima sociale generale che certamente in questa fase della storia italiana fatica a capire l’integrazione razziale. Per altri aspetti l’indifferenza è peggiore dell’odio, come afferma Mons. Ravasi, perché si confonde con il distacco, la pazienza e la sopportazione. Essa è invece uno spegnersi della mente e del cuore.
L’ultima parte del suo libro s’intitola: “La pace è possibile, dipende da noi”. E’ davvero così?
“Se vuoi la pace, prepara la pace” E’ quanto affermava Giorgio La Pira. Non è un espressione utopica ma una esortazione alla politica. Era un progetto politico, per La Pira, l’unico progetto adeguato all’obiettivo di acquisire la pace. La pace non è un’aspirazione retorica, ma oggi costituisce una scelta storica, un fatto politico e giuridico possibile. Per riflettere su questa affermazione basta ricordare alcuni dati economici. In un anno si sborsano 780 miliardi di dollari per spese militari mondiali, ma soltanto 19 per l’accesso per tutti all’acqua potabile, 8 per la lotta al riscaldamento globale, 5 per il ritorno dei profughi, 2 per la lotta all’analfabetismo. Per preparare la pace bisogna dunque compiere azioni concrete e coraggiose. Alcuni protagonisti del nostro tempo, uomini di pace come Giorgio La Pira, Papa Giovanni, Madre Teresa, Nelson Mandela, Martin Luther King, hanno risposto con la loro testimonianza di vita a questo interrogativo. “La pace è possibile?”. Sì, dipende da noi.