17 febbraio
Elisabetta Sanna nasce a Codrongianos, Sassari, da una famiglia di agiati agricoltori ed era seconda di nove figli. Il padre fu sindaco del paese e il fratello Antonio Luigi, sacerdote. A tre mesi un’epidemia di vaiolo la rese invalida alle articolazioni: potrà muovere solo i polsi e le dita. Nonostante l’enorme difficoltà non si sottrasse alle faccende domestiche e anche se non riusciva a farsi il segno della croce, a pettinarsi, lavarsi e cambiarsi gli abiti, si presentava sempre ordinata e pulita. Riusciva ad impastare il pane, infornarlo e sfornarlo. A sei anni ricevette il sacramento della Cresima e dopo poco frequenterà una terziaria francescana, Lucia Pinna, molto attiva in parrocchia che, nonostante fosse analfabeta, sarà la catechista sua e di molte altre ragazze del borgo e della campagna. Fece la prima Confessione e la prima Comunione a dieci anni. Attivissima, anche lei radunerà le ragazze a casa nei giorni festivi per fare catechismo e invoglierà le ragazze dicendo: «Dai, vieni che è bello». Il suo desiderio fu quello di farsi suora anche perché col sua handicapp non avrebbe mai potuto ricevere proposte di matrimonio. In realtà ne ricevette ben tre ed Elisabetta sposerà il 13 settembre del 1807, a 19 anni, il più povero, Antonio Porcu. Sarà un amore molto forte: il marito non faceva nulla senza sentire il parere della moglie e lei riconoscerà per sempre la bontà del marito della quale non si sentiva degna. Dal matrimonio nacquero sette figli e la loro famiglia diventò un modello per tutto il paese.

Educò i figli all’amore per Gesù, li preparò alla Confessione e alla Comunione. Non si risparmiava come mamma, moglie e casalinga e non temeva le critiche per la sua fede pubblicamente professata e praticata. A 37 anni morì il marito e rimase vedova con 5 figli da accudire poiché due morirono in giovane età. Non si perse d’animo: riorganizzò la sua vita, fece voto di castità per non risposarsi più. Con i suoceri avviò i figli più grandi al lavoro dei campi. Sentì forte il desiderio di andare in Terra Santa e forte dell’aiuto dei suoceri e del fratello sacerdote, lascò i figli salpando, il 25 giugno del 1831, da Porto Torres per un viaggio che, invece, avrà altre mete. Per una burrasca, la barca fu costretta a fermarsi dopo quattro giorni, per un attracco d’emergenza, a Genova dove, purtroppo Elisabetta, si accorse di non avere il visto per l’imbarco in Terrasanta. Così, insieme ad altri pellegrini, raggiunsero via terra Roma: qui, Elisabetta, diventerà “Mamma Sanna”.
Un medico le diagnosticò problemi al cuore: il viaggio in Terrasanta non si potrà fare e non potrà rientrare nemmeno in Sardegna. Sarà don Vincenzo Pallotti a scrivere al fratello di Elisabetta per comunicare che la sorella non sarebbe potuta rientrare presto a casa. Rimarrà a Roma per ben 26 anni. Trovò sistemazione in una soffitta mal ridotta. I suoi coinquilini erano i topi ma, in compenso, il suo alloggio si trovava di fronte alla chiesa di Santo Spirito, vicinissimo alla Basilica di San Pietro. Ed era lì che andava tutti i giorni a pregare dalla mattina alla sera; rientrava solo quando le porte della basilica venivano chiuse. Se qualcuno voleva parlarle sapeva che poteva trovarla o in chiesa o nella sua soffitta. Nobili, poveri, cardinali, popolane, uomini d’affari ed esponenti della curia romana andarono da lei perché si sparse la voce che “Mamma Sanna” leggeva nei cuori, scrutava le coscienze, investigava il futuro e interpretava il presente alla luce di Dio. Andava nelle case dei più poveri e anche se paralizzata aiutava, curava, puliva e donava parole di consolazione. Nel suo alloggio, due mesi dopo, accolse Don Giuseppe Valle, come un figlio da curare.
Il prete vi rimarrà fino al 1839, assistito da Elisabetta come da una madre. Tutto avveniva in presenza della Virgo Potens, il quadro mariano che aveva in camera. Davanti ad esso avvenivano guarigioni, conversioni, grandi prodigi tutti attribuiti alla Madonna. Come ringraziamento le persone lasciavano offerte e doni in natura. Una parte la conservava per i poveri, l’altra, più cospicua, erano destinati alla Pia Casa di Carità fondata da don Pallotti con la sua Società dell’Apostolato Cattolico. Il pensiero di ritornare in Sardegna si allontanerà sempre più. Ormai Elisabetta divenne la “Santa di San Pietro”. Morì 17 febbraio del 1857 nella sua soffitta consumata dall’artrite e dalle tante penitenze. Santa per acclamazione, iniziò presto il processo di canonizzazione che, per vari problemi, si fermerà per 160 anni. Nel 2014 venne dichiarata venerabile. Il riconoscimento di un miracolo, una donna affetta da distrofia riacquista la piena funzionalità del braccio, a lei attribuito la beatificherà presso la basilica della Santissima Trinità di Saccargia a Codrongianos il 17 settembre del 2016.