Si è svolto anche a San Giovanni Rotondo, dinanzi al Palazzo Municipale, e contemporaneamente in altre 31 piazze d’Italia, il flash-mob organizzato dal neonato “Movimento Nazionale Infermieri”, fondato da coloro che lavorano in reparti covid o che sono stati comunque infettati dal virus.

La manifestazione è stata organizzata per commemorare, con il lancio di palloncini rossi, i loro colleghi e i parenti deceduti a causa del coronavirus e per ricordare a tanti di essere stati «per molti pazienti l’ultimo briciolo di umanità, passato attraverso le nostre mani coperte da due o tre paia di guanti, attraverso i nostri occhi spesso offuscati dalla condensa degli occhiali o degli schermi protettivi, attraverso la nostra bocca che ha nascosto i suoi sorrisi dietro una mascherina e, innegabilmente, attraverso il nostro cuore, magari anche con qualche preghiera e benedizione, che allo stremo della sopportazione ha subìto la disumana ma necessaria disposizione di ricomporre le salme all’interno di sacchi, prima di trasportarle all’obitorio». Questo uno stralcio del testo letto da uno di loro a nome di tutti.

La categoria degli infermieri impegnati nella trincea del Covid ha voluto, però, anche lanciare un messaggio alla società, sotto forma di indignato grido di dolore, ma anche di denuncia di quanto molti di loro hanno dovuto sopportare: «Gli operatori sanitari sono la categoria che ha visto il maggior numero di contagiati, ma non siamo untori. No. Questo non possiamo accettarlo. È stato così facile e veloce definirci eroi, ma è stato altrettanto facile passare poi all’accusa, di manzoniana memoria, di essere noi stessi causa di contagio».

Alla manifestazione è intervenuto, per dare il suo sostegno, l’arcivescovo di Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo, padre Franco Moscone, che ha incoraggiato i manifestanti con parole di chiaro ammonimento: «La mia presenza qui, come vescovo e anche come presidente di Casa Sollievo della Sofferenza, l’ospedale di San Giovanni Rotondo voluto da san Pio da Pietrelcina, vuol essere segno di solidarietà con voi, non solo per dire la stima, ma per dire: continuate la vostra battaglia contro gli altri virus, ancora più difficili da distruggere di quanto non sia quello che sta falcidiando l’intera umanità e di cui siete voi i primi testimoni. La nostra società non si accontenti di aver detto “andrà tutto bene” o “eroi”, ma sappia far seguire alle parole i fatti: la vicinanza, il rispetto e soprattutto la lotta a ogni forma di pregiudizio. Il rischio di passare da eroi a untori, assolutamente no! Un gesto del genere non è solo una cattiveria, ma io la definirei una bestemmia e un crimine sociale. Fate bene a combatterlo, a dimostrare la vostra presenza, a dire che ci siete e che continuate ad esserci e a chiedere a tutti il rispetto dovuto e la verità che deve essere riconosciuta».