In Cristo siamo popolo regale, sacerdoti per il nostro Dio” è il titolo della rubrica curata dal prof. Giovanni Chifari, docente di Teologia Biblica, offerta agli amici di Tele Radio Padre Pio ogni martedì pomeriggio nel corso del programma “Un senso, un traguardo”, come piccolo “strumento” per una crescita personale che scaturisce da un impegno generato dalla Parola di Dio ascoltata, meditata, celebrata e condivisa. Vi proponiamo alcuni stralci tratti dalla puntata del 4 maggio 2010 realizzata nel corso della rubrica dedicata all’Anno Sacerdotale
Eccoci giunti alla VI Domenica del Tempo di Pasqua, un tempo nel quale la Chiesa ci guida verso la comprensione della novità introdotta dalla resurrezione di Gesù. Ancora una volta il vangelo ci presenta un brano che rinvia al ministero terreno di Gesù. Qual è il significato di tale scelta?
Abbiamo spesso fatto riferimento alla luce che la Pasqua di Gesù, la sua resurrezione, proietta sulle vicende terrene, sulle sue parole ed opere. Oggi riaffermiamo con certezza che la resurrezione di Gesù non è l’epilogo della storia ma il punto di inizio. Alla luce del risorto, sostenuti dall’azione dello Spirito, ci apriamo a quella verità tutta intera che scandirà il senso del nostro esistere. In questa VI Dom. del tempo di Pasqua il vangelo ci offre il primo dei cosiddetti “discorsi di addio” di Gesù, che lasciano intendere come la luce della Pasqua abbia consentito una nuova comprensione delle sue parole. Questi brani si collegano in un certo modo a quegli annunci della passione presenti nei sinottici, dove è possibile osservare la stretta connessione fra morte e resurrezione. Ecco cosa intendeva suggerire Gesù quando parlava del suo “esodo”(in Lc 9,28ss) o del viaggio che doveva compiere. C’è un ritorno al Padre, attraverso una glorificazione reciproca.
Come al solito passiamo ai temi prevalenti di questa Parola, cercando di far parlare il testo, affinché possiamo porci in ascolto di quello che il Signore dice ad ognuno di noi personalmente, ma anche alla sua Chiesa. Cosa possiamo dire a riguardo?
Il Signore attraverso la mediazione delle Scritture, che la Chiesa ci dona, intende parlare ad ognuno di noi e alla Chiesa intera. E’ necessario invocare quello stesso Spirito nel quale la Scrittura è stata composta, e che anche oggi vuole parlare attraverso di noi. E’ bene porsi con questa predisposizione positiva nei confronti della Parola, perché in essa possiamo fare esperienza dell’amore di Dio e della sua consolazione. Fra i temi che caratterizzano questa Domenica, iniziamo col far riferimento al legame tra Parola ed amore, che si evince dalle parole iniziali di Gesù: “Se uno mi ama ascolta la mia Parola”. (14,23) Chi ama si fida dell’altro. Se abbiamo incontrato l’amore, se abbiamo fatto esperienza di Dio e ci sentiamo da Lui amati, troveremo “naturale” perpetuare quest’amore, attraverso l’ascolto della Parola dell’Altro. Chi ama realmente tende a trasferirsi nell’amato. Amore e ascolto è lo stato nel quale siamo chiamati a permanere per poter divenire dimora di Dio, tempio del Suo Spirito. Amando Gesù ed ascoltando la sua Parola, incontriamo anche il Padre che è una cosa sola con il Figlio. Ecco perché Gesù dice che il Padre mio verrà in coloro che mi amano ed ascoltano. Ricordiamo la risposta di Gesù a Filippo: “Chi vede me, vede il Padre”. La presenza di Dio in noi ed il nostro essere dimora dello Spirito Santo manifesta l’accoglienza e la docilità che deve caratterizzare l’esperienza del cristiano. Chi non ama il Cristo non ascolta le sue parole, perché il suo cuore è prostrato ad altri tesori, che tuttavia non donano reale serenità e pace.
Cosa possiamo sottolineare sul ruolo dello Spirito Santo in questo processo?
Altro aspetto da sottolineare è il ruolo dello Spirito Santo che consiste, secondo questo brano, nella funzione di insegnamento e memoria. Lo Spirito infatti, insegna e ricorda (v. 26). Che cosa insegna? Che cosa ricorda? Senza dubbio lo Spirito consentirà ai discepoli il ricordo “illuminato” dalla sua sapienza, di tutto ciò che Gesù ha detto e fatto. L’insegnamento invece, verterà “su ogni cosa” (v. 27). Se invocheremo l’assistenza dello Spirito, che è Dio, facendo l’esperienza della sua dimora in noi, proclameremo innanzitutto che “Gesù è il Signore”. In “ogni cosa” potremo invocare questo Paraclito che ci donerà consolazione e pace. Nelle varie vicissitudini della vita lo Spirito renderà presente ciò che Gesù ha detto e fatto, tuttavia non come semplice esercizio di memoria, ma come attualizzazione di una Parola nell’oggi, che continua ad invitarci alla conversione.
E la pace?
Questo dono ci rinvia direttamente alla pagina della resurrezione e delle apparizioni. Gesù risorto che appare agli apostoli esclama: “Pace a voi”. Il dono della pace è allora legato alla resurrezione di Gesù e alla sua glorificazione da parte del Padre nello Spirito. Con la resurrezione si inaugura qualcosa di nuovo. La pace che Cristo ci dona non è quella che dà il mondo, che produce soltanto agitazione che non giova a nulla (ricordiamo a tal riguardo il celebre detto di Padre Pio) ma è una pace stabile, inaugurata dall’evento della resurrezione, che chiede solo di poter trovare stabile dimora dentro di noi. Ciò potrà accadere se saremo davvero risorti con Cristo.
Come ormai anche coloro che ci ascoltano sanno, quest’ultima domanda è dedicata all’approfondimento in chiave sacerdotale della Parola di Dio di questa VI Dom. di Pasqua. Quali aspetti possiamo sottolineare?
Il legame fra Amore e Parola, rinviano a quel mistero inafferrabile che è la chiamata al sacerdozio. Coloro che hanno scelto questa via, hanno infatti sperimentato la potenza di quest’amore che li invitava a lasciare tutto e seguire il Cristo. La solidità della propria vocazione non può dunque prescindere da questo intimo ed assiduo legame con la Parola di Dio, nel quale il sacerdote fa esperienza di quel dialogo a tu per tu con Dio, che poi si apre alla preghiera che diviene esperienza di dialogo orante: un cor ad cor loquitur. I primi cristiani sperimentavano con forza l’azione dello Spirito, la sua giuda docile e sicura. Allo stesso modo il sacerdote è chiamato a lasciarsi sostenere e guidare dall’azione dello Spirito, mettersi in ascolto della sua voce, perché possa farsene portavoce fra gli uomini, non rinunciando a quella dimensione di annuncio e profezia che deve caratterizzare la sua esistenza. Infine egli è l’uomo della pace. Chi incontra lui deve poter fare esperienza della pace. Se ripensiamo alla nostra conoscenza e percezione del ministero sacerdotale, facilmente potremo far riferimento a dei sacerdoti che ci comunicano pace. Quando pregano o celebrano l’eucarestia sentiamo a volte il gusto della pace, perché non ripetono semplici parole, ma vivono ciò che celebrano, annunciando la potenza della resurrezione di Cristo, che inaugura la stagione perenne e definitiva della pace, per chi l’accoglie nei cuori.