6° incontro: S. Pio, modello di obbedienza I tre voti, in generale
Noi religiosi, oltre alla vocazione generale, alla quale tutti sono chiamati per santificarsi, tramite il battesimo (cf LG 40), abbiamo ricevuto un’altra chiamata “quella particolare” o di “speciale consacrazione”, per tendere alla perfezione, secondo lo spirito del fondatore. Noi religiosi trasformiamo i 3 consigli evangelici: obbedienza, povertà e castità, in voti.
Paragone dei 3 consigli-voti
I tre voti: obbedienza, povertà e castità, in passato sono stati paragonati ai tre chiodi, che mantengono Cristo crocifisso sulla croce e che, nello stesso tempo, riescono a crocifiggere il nostro io. L’osservanza dei tre voti è la piattaforma su cui poggia la vita religiosa, ma non costituisce essa stessa la vita religiosa, perché, purtroppo, esistono dei religiosi, che, pur osservando questi tre voti, sono mediocri. La vita religiosa è qualcosa di ancora piú sublime: è consacrazione totale a Dio, per raggiungere la perfezione. P. Pio, nostro modello, ha vissuto questi tre voti religiosi in linea con questa prospettiva, com’è stato scritto anche nel “Decreto sulle virtú”: “P. Pio amava i tre voti religiosi, perché erano consigli di Cristo e perché mezzi di perfezione”.
1ª domanda: “Nella litania, hai scritto: “S. Pio, modello d’obbedienza. Ma che cos’è l’obbedienza?”.
a) Il sostantivo obbedienza, dal verbo greco (peizomai) ha due significati: lasciarsi persuadere e affidarsi. Allora, l’obbediente non si affida a uno qualsiasi, ma a uno del quale si fida. Quindi, se da un lato si obbedisce, dall’altro chi ordina deve essere “affidabile”. Questo concetto è confermato dalla tradizione dei monaci, i quali si sceglievano un superiore, degno di occupare quel posto.
In latino (da “ob-audire”) ha tre significati: dare ascolto, esser sottomesso e ascoltare stando di fronte. a) In forza di questo principio, l’obbediente è colui che compie questi tre movimenti I) esce dal proprio monologo, II) si mette in ascolto e, infine, III) risponde. b) In poche parole: uno fa la proposta con rispetto e l’altro vi aderisce con amore. c) Se non c’è questa adesione il suddito non obbedisce, ma soggiace; soccombe, ma non ama; si rassegna, ma non collabora; è un uomo represso e non una persona obbediente. d) Obbedire, in conclusione, è ascoltare e vivere la volontà di Dio, per entrare nella sua comunione, perciò l’obbediente per eccellenza è Gesú, perché, nonostante che il Padre è in lui e lui nel Padre (cf Gv 14, 10-12), cioè “pur essendo di natura divina… divenne simile agli uomini… umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,5-8). Senza questa prospettiva divina sarebbe deprimente e assurdo obbedire, perché l’uomo per natura è portato a voler vivere senza regole e a rivendicare una libertà senza barriere, sia verso Dio che verso i superiori.
Verso Dio, spesso, non ci mettiamo nell’atteggiamento che ci compete, cioè quello di sue creature, ma di comando-lamento. Verso i superiori è ancora piú difficile l’obbedienza, nonostante il comando di Dio: “Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite, poiché non c’è vera autorità, che non venga da Dio, e quelle che esistono sono disposte da Dio” (Rom 13,1). Ecco, allora, il motivo teologico del voto dell’obbedienza: nell’autorità di un uomo vi è la volontà di Dio.
Un nota bene: Non si può giustificare la disobbedienza, a causa della non elevata testimonianza di vita spirituale del proprio superiore o capacità di intelligenza. Né si può autodecidere, anche se ciò potrebbe condurre al miglioramento dell’andamento della fraternità.
2ª domanda: “Come ha vissuto p. Pio questo voto?”.
Dal “Decreto sulle virtú” leggiamo che p. Pio “consapevole degli impegni assunti con la vita consacrata, osservò con generosità i voti religiosi. Li amava, perché erano consigli di Cristo e perché erano mezzi di perfezione. È stato obbediente in tutto agli ordini dei superiori, anche quando erano gravosi. La sua obbedienza era soprannaturale nell’intenzione, universale nell’estensione ed integrale nell’esecuzione”. a) P. Pio non faceva nulla, senza il permesso del superiore. Ne accettò le disposizioni con perfetta docilità e senza lamenti. b) Obbedí alla Chiesa e ai suoi rappresentanti senza pronunciar parola e senza chiedere spiegazioni. c) Negli anni ’20, quando si vociferava di un suo trasferimento da S. G. R., già ordinato dalle autorità religiose, al p. Luigi da Avellino, che gli aveva comunicato il decreto (8-8-1923), p. Pio, chinando il capo, disse: “Eccomi a sua disposizione; partiamo subito. Quando sono con il superiore sono con Dio”. d) Ma la sua obbedienza si dimostrò autentica, soprattutto, quando, il 10 giugno 1931, gli fu letto il decreto del Sant’Uffizio, con cui gli si proibivano, tra le altre, le due cose, che sono l’essenza del sacerdozio: celebrare in pubblico la messa e udire le confessioni di religiosi e secolari. In quella occasione, chinando il capo e coprendosi gli occhi con le mani, disse solo: “Sia fatta la volontà di Dio!”.
Come passava il tempo p. Pio, in questa segregazione, che durò dal 11 giugno 1931-15 luglio 1933). Ce lo dice p. Agostino nel suo “Diario” a p. 69: “Il 24 luglio 1931 ritornai a S. G. R. col provinciale (p. Bernardo da Alpicella SV). Potei parlare col caro Piuccio per quasi un’ora. Lo trovai molto sollevato per grazia di Dio. Lo interrogai: Adesso come passi i tuoi giorni? Mi rispose: Prego, studio come posso e… dò noia ai miei fratelli. Come sarebbe? Scherzo come prima e meglio di prima. Mi disse chiaramente: I primi giorni della terribile prova mi sentii male, ma poi il Signore mi sostenne e quindi mi adattai al nuovo ambiente. Sia ringraziato Gesú! Ma venite a trovarmi piú spesso. Ho bisogno di una parola amica, fraterna, paterna. Interrogato su quella prova che da tempo inchioda il suo spirito (la notte oscura) mi rispose: Grazie a Dio, è alquanto mitigata, la sostengo piú volentieri”. In questi due anni e 34 giorni, p. Pio fu I) sacerdote senza fedeli attorno all’altare, II) confessore dal confessionale chiuso e III) un crocifisso, costretto all’inazione, ma stranamente è stato questo il tempo, in cui p. Pio si è maggiormente santificato, perché ha obbedito, facendo la volontà, forse di Dio, e ha maggiormente santificato.
Direte voi: «Possibile?». Certamente! Forse, anche per Cristo le ore piú utili per la salvezza del mondo non sono state quelle in cui rimase appeso alla croce?
Obbedienza nell’Epistolario
Sul voto di obbedienza, abbiamo abbondanti indicazioni nell’epistolario. Ne prendo solo 5.
Tre scritte a p. Benedetto: I) Il 26 agosto 1916, scrivendo a p. Benedetto Nardella, dice: “Opero solamente per ubbidirvi, avendomi fatto conoscere il buon Dio essere questa l’unica cosa a lui piú accetta e per me unico mezzo di sperar salute e cantar vittoria” (Ep. I, 807). II) Allo stesso padre spirituale, il 4 giugno 1918, in un linguaggio poetico, definisce l’obbedienza: “La sola tavola a reggermi in tanto fragore di tempesta, l’unica tavola a cui aggrapparmi in tal naufragio di spirito” (Ep. I, 1030). III) Se qualche volta fa qualche richiesta è perché cosí Gesú vuole, come scrive p. Pio a p. Benedetto il 13 agosto 1916: “Ora vengo a chiedervi una carità, e tanto piú vengo a chiedervela, in quanto che Gesú mi costringe. Egli mi dice che bisogna sollevarmi un po’ il fisico, per tenermi pronto ad altre prove, alle quali egli vuole assoggettarmi” (Ep. I, 798). In questa lettera, p. Pio chiede al suo padre provinciale, Benedetto, il trasferimento da Foggia a S. G. R.
A p. Agostino: All’altro padre spirituale, Agostino Daniele, il 15 agosto 1916, da Foggia, scrive: “Che dirvi di me? Sono un mistero a me stesso, e se mi reggo, sí è perché il buon Dio ha riservato l’ultima e piú sicura parola all’autorità su questa terra e che non vi è norma piú fedele del volere e del desiderio del superiore. A questa autorità mi affido qual bambino sulle braccia della madre” (Ep. I, 800). Un’obbedienza, quindi, fiduciosa e amorosa “qual bambino sulle braccia della madre” (ib 800).
A p. Luigi da Avellino: Il 23 agosto 1923, scrivendo a p. Luigi da Avellino, vicario provinciale dei cappuccini di Foggia, confessa: “Credo che non ci sia bisogno di dirle, quanto io, grazie a Dio, sia disposto a ubbidire a qualunque ordine mi venga notificato dai miei superiori. La loro voce è per me quella di Dio, cui voglio serbare fede fino alla morte; e con l’aiuto suo, ubbidirò a qualsiasi comando, per quanto penoso possa riuscire alla mia miseria” (Ep. IV, 397-398).
Chi ama è pronto a eseguire ciò che gli chiede la persona amata, senza chiederne il perché: “Ecco, io vengo, o Padre, per fare la tua volontà” (Eb 10, 9).
Inculca nei figli: P. Pio questa obbedienza-fiducia la inculca anche nei suoi figli spirituali, la presenta e la lega alla gerarchia ecclesiastica, tramite la lettera inviata al papa Paolo VI il 12 settembre 1968: “Anche a nome dei miei figli spirituali e dei Gruppi di preghiera …riaffermo la mia fede, la mia incondizionata obbedienza alle vostre illuminate direttive” (Ep. IV, 13).
Barzelletta
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Padre Pio e sorella morte
Siamo nel mese, che la Chiesa ha dedicato, consacrato ai nostri cari defunti: il mese di novembre. Tutti, chi prima,...