Durante la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani sulle frequenze di Radio Padre Pio abbiamo ospitato il Prof. Simone Morandini, docente di Teologia Ecumenica e membro del Comitato Esecutivo del S.A.E. Segretariato Attività Ecumeniche.
– Prof. Morandini ci aiuti a scoprire il S.A.E., come nasce e soprattutto da chi composto?
Abbiamo celebrato un paio di anni fa il nostro 40° anno di attività . Negli anni del Concilio Maria Vingiani, una laica cattolica veneziana con una vocazione ecumenica che aveva vissuto negli anni dell’immediato dopo guerra, scopre una necessità di superare il livello dell’impegno personale e decide di trasferirsi a Roma per mettersi in sintonia con questo grosso evento di rinnovamento che era il tempo conciliare.
Intorno a lei si raccoglie ben presto un gruppo di amici, se pur in modo informale, successivamente si costituisce una forma istituzionale e nasce cosa¬ il Segretariato Attività Ecumeniche.
Fin dall’origini ha una caratteristica che si mantiene tutt’ora : un’organizzazione di laici.
Laici impegnati per la costruzione dell?ecumenismo. Inizialmente solo laici cattolici, ben presto l?associazione diventa interconfessionale: protestanti, ortodossi, persino qualche ebreo e qualche amico musulmano. Tutti hanno voluto partecipare a questo lavoro di dialogo e conoscenza reciproca. Quindi laici interconfessionali.
– Quali sono le finalità del movimento?
L’informazione e la formazione in vista del dialogo ecumenico, del dialogo cristiano – ebraico, del dialogo interreligioso. Un lavoro che si realizza a tutti i livelli.
Da un lato ci sono dei gruppi di laici presenti nelle maggiori città italiane che fanno un lavoro di formazione di contatto e di dialogo tra le diverse realtà ecclesiali presenti nei singoli contesti.
Così poi un gruppo teologico, ossia un gruppo teologico misto che lavora su dell’elaborazioni di alcune grosse tematiche della riflessione ecumenica.
Così poi a livello nazionale il comitato esecutivo, in cui tra l’altro sono coinvolto, che prepara alcuni appuntamenti annuali.
La principale è la Sezione di Formazione che si celebra ormai da più di 40 anni,un grosso appuntamento per chi lavora in ambito ecumenico in Italia.
– Ricordiamo ancora gli eventi di Assisi quando il Papa ha incontrato i rappresentanti di tutte le religioni. Secondo lei ci sono stati dei passi in avanti per quanto riguarda il dialogo, il confronto, l’ascolto reciproco?
Ad Assisi si sono svolti due incontri. Il primo, ormai lontano sotto alcuni aspetti perché sono passati quasi 20 anni. Il secondo più recente. Certamente sono due tappe di estrema importanza per il dialogo e soprattutto per il dialogo tra le grandi religioni dell’umanità .
Assisi fu una prima testimonianza che in forma così alta, così forte mostrava credenti di diverse fedi riuniti insieme per pregare, anche se non ancora per pregare insieme.
La seconda tappa dell’inizio del 2002 tutta focalizzata sul tema della pace, un momento quasi di cura, di risanamento e di riconciliazione dopo che gli attacchi delle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 avevano creato tanta lacerazione nel cuore dell’umanità .
Questa è stata la volontà forte di dire assieme, che l’unica via non può sere che quella della pace, non quella della violenza, magari motivata in forma religiosa.
Sono convinto che rappresentano due momenti diversi della storia ecclesiale che hanno saputo dare un “la” alle attività del dialogo.
Penso ad esempio a quanto è cresciuto nel nostro paese il dialogo con il mondo musulmano.
Ormai da due anni, anche se in modo informale, si celebra questa giornata di dialogo cristiano islamico.
Ci si incontra, ci si confronta, magari ci si confida anche le reciproche paure, le reciproche attese e speranze. Si esplorano cammini che si possono fare insieme.
Pare che questo sia un frutto degli incontri di Assisi, di quella forte testimonianza di pace, di dialogo che Giovanni Paolo II offre e continua a offrire,testardamente, alla comunità Ecclesiale italiana.
– Il discorso aperto anche con gli stessi ebrei,con i quali vi prefiggete di instaurare un fecondo dialogo. Questo per quale motivo principalmente?
Il dialogo cristiano ebraico è una delle componenti della riflessione del S.A.E. fin dai primissimi anni.
Si tratta di una convinzione fondamentalmente : che non vi è possibilità di riconciliazione tra le Chiese senza un chiarimento, un ripensamento di quella prima, grande scissione, divisione che dal costituirsi di Chiesa sinagoga come identità separate.
E? chiaro che la figura di Gesù viene vissuta come segno di divisione nel rapporto tra i cristiani. Tuttavia sempre più si sta riscoprendo Gesù. Gesù è il credente ebreo e quindi una figura dalla quale è possibile ripartire insieme per ritrovare anche qui temi di fede comune, elementi di teologia, di vita, di spiritualità £he i cristiani ed ebrei possono condividere.
Anche qui è un ambito nel quale si sono fatti grossi passi nonostante ci possono essere momenti difficili e certamente la complessa situazione in Israele non ci aiuta per creare un dialogo immediato..
Per questi anni che ci separano dal Concilio, il lavoro fatto per superare la reciproca diffidenza, per superare l’antisemitismo teologico e anche quello non teologico, che tanti cristiani spesso portano celato in qualche modo nei propri cuori, ha fatto passi da gigante.
– Questo percorso passa attraverso il riconoscimento dei doni di Dio che il S.A.E. indica come doni che sono stati accolti in pratica dalle diverse tradizioni e quindi per questo motivo c’è la necessità di riunirle assieme?
Certo! Il primo elemento che in sostanza crea ogni dialogo ecumenico, quello ebraico – cristiano, quello interreligioso, che sono a livello diverso, è la scoperta che abbiamo bisogno gli uni degli altri.
Anche coloro che confessano di avere ricevuto pienezza della salvezza in Gesù , anche coloro che confessano questa fede, pure si accorgono che hanno bisogno dell’aiuto degli altri per comprendere.
Ci sono tradizioni che hanno colto, che hanno sottolineato elementi del mistero di Dio che in qualche misura ancora ci sfuggono.
Allora il dialogo diventa non un processo di diplomazia, per cercare facili convergenze avvicinandosi ambiguamente gli uni agli altri.
Ma diventa piuttosto un autentico processo di scoperta della verità nella quale insieme si diventa discepoli di quel mistero santo che è Cristo stesso.
– Quindi occorre superare tutti i pregiudizi, ristrettezze di visione per riscoprire il vero significato dello shalom biblico: pace con Dio, con se stessi, con gli altri, con la natura…con tutto ciò che fa parte del nostro essere!
Questa è la parola chiave della settimana di preghiera per l’unità della Chiesa di quest’anno.
Il tema della pace costituisce effettivamente un orizzonte in cui si verifica il dialogo ecumenico.
La pace – shalom è il grande dono che Dio fa all’umanità alla creazione,al mondo…
All’interno di questa “shalom” donata, che non possiamo far altro che ricevere, si collocano tutti i nostri sforzi per realizzarla, per fare la storia, per farla diventare tessuto di relazioni concrete tra uomini, tra figli, tra chiese.
– Con il dialogo, con il vero spirito di dialogo non soltanto si riescono a superare le forme di integralismo e fondamentalismo, ma si crea una sorta di obbligo al confronto con la Parola!
Due elementi sono stati segnalati in questo intervento e che ritengo di estrema importanza.
Da un lato il dialogo come qualcosa che relativizza fondamentalismo e integriamo.
Se davvero vogliamo pensare ad una figura di uomo ecumenico, provare quindi a disegnare una sorta di antropologia ecumenica, si sa che da un lato è ben salda l’attenzione alla Parola, alla fede ricevuta in cui si è cresciuti, dall’altra parte bisogna essere capaci di distinguere in essa, anche secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II ciò e caduco, ciò è secondario. E’ importante distinguere il nocciolo dal rivestimento che spesso semplicemente culturale, ma non per gettarlo via ma per interpretare il significato più profondo, il significato più autentico.
E’ un principio fondamentale del dialogo la capacità di porre al centro ciò che è centrale, di confrontarsi su ciò che autenticamente qualifica.
Credo che nel dialogo ecumenico, la centralità della Parola, la centralità nell’ascolto della Scrittura, per confrontare le interpretazioni diverse, un principio che può portarci veramente lontano.
– Che cosa sia aspetta da questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani?
Chi vive la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani come il tempo dell’ecumenismo commette un fondamentale errore di prospettiva.
La settimana di preghiera dei cristiani dovrebbe essere piuttosto una sorta di centro focale all’interno dell’anno liturgico che richiama ognuno all’importanza di una pratica ecumenica che va approfondita nel corso dell’intera vita ecclesiale.
Questo è un po il lavoro che cerca di fare il S.A.E.: portare la dimensione ecumenica, portare la testimonianza ecumenica nel vissuto ordinario delle comunità ecclesiali e far sì che il dialogo, l’ascolto reciproco, il confronto, la ricerca della comunione diventino una dimensione naturale del lavoro ecclesiale.