L’eucarestia (= rendimento di grazie) è il sacramento di unità degli uomini con la Trinità.
Essa è azione di grazie al Padre, è memoriale del Figlio, è invocazione dello Spirito santo.
A Dio Padre la Chiesa dice “grazie”, a nome di tutta l’umanità, per le meraviglie da lui compiute. A Dio Figlio la Chiesa dice grazie, soprattutto per il dono del suo corpo e del suo sangue. La Chiesa, attraverso il sacerdote, ripetendo le parole di Gesú pronunziate nell’ultima cena, non commemora Gesú Cristo, ma ne invoca la presenza, ed egli, sotto le apparenze del pane e del vino, si fa “cibo” per noi, consentendo di unirci alla sua passione, morte e risurrezione, per poterci riconciliare col Padre e collaborare alla costruzione del regno di Dio. Anche a Dio Spirito santo, che ha il compito di attualizzare nel tempo l’opera di Cristo, la Chiesa dice grazie. È lui che trasforma il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Gesú Cristo. In quest’unione con la Trinità, s’innesta anche l’unione degli uomini tra loro.
Nella celebrazione eucaristica, sotto le specie del pane e del vino, Cristo si fa presente veramente, realmente, sostanzialmente, tutto intero: corpo, sangue, anima e divinità. Questo non è opera del sacerdote, ma di Cristo, per l’azione dello Spirito santo. La messa è un mistero di fede, in cui Gesú dà un nuovo significato al pane e al vino, trasformandoli nel suo corpo e nel suo sangue, di cui bisogna nutrirsi. Infatti, sotto le apparenze dell’ostia e del calice, vi è la presenza della piú alta realtà divina, quella autentica del Verbo eterno e incarnato, che collega la terra al cielo e l’uomo alla Trinità. Gesú, però, non è solo è il dono di Dio agli uomini, ma anche degli uomini a Dio. Mi spiego meglio. Mentre Dio dona suo Figlio all’uomo, Gesú e insieme a lui tutti gli uomini si offrono al Padre, come “un sacrificio gradito a Dio” (1Pt 2,5). Perciò anche i fedeli, insieme ai sacerdoti si devono offrire come vittime. Solo allora, come dice s. Gregorio Magno: “Gesú sarà veramente ostia per te, quando tu diventerai ostia con lui”. Per questa finalità, noi preghiamo nella terza preghiera eucaristica: “Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito”. Il CEV II, nella LG 11, riassume tutto ciò in una formula densissima: “Partecipando al sacrificio eucaristico, fonte e apice di tutta la vita cristiana, i fedeli offrano a Dio la vittima divina e se stessi con essa”. Allora, celebrare l’eucarestia, “mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue”, significa accettare di vivere come Gesú, testimoniando la propria disponibilità a sacrificarsi per gli altri, come ha fatto lui. Vi è, però, un altro aspetto molto importante, per ben partecipare alla messa e nutrirsi dell’ostia consacrata bisogna essere puri, perciò la Chiesa prescrive la previa confessione per chi si trova in peccato mortale. Dobbiamo essere puri, se vogliamo offrirci come vittime, come ostie gradite al Padre, insieme a Gesú.
1ª domanda: “Come ha vissuto p. Pio l’eucaristia?”.
Il b. Giovanni Paolo II, il 23 maggio 1987, nel convento di S. G. R., disse: “I due elementi o poteri, che caratterizzano il sacerdozio cattolico nella specificità e nella sua vera essenza sono: la facoltà di consacrare il corpo e il sangue del Signore e quella di rimettere i peccati”. E per p. Pio l’altare e il confessionale sono stati “la fonte e il culmine, il perno e il centro di tutta la sua vita e di tutta la sua opera” (ib). Lo stesso pontefice riconosce l’esemplarità, vissuta da questo colosso di santità: “Non furono forse l’altare e il confessionale i due poli della sua vita? Questa testimonianza sacerdotale contiene un messaggio tanto valido quanto attuale” (ib). Del modo in cui egli celebrava l’eucarestia, indelebili sono le parole di Paolo VI, impresse sul marmo nella cripta del convento cappuccino di S. G. R., dov’era sepolto il corpo di p. Pio: “Diceva la messa umilmente”. Giovanni Paolo II, che ha avuto la fortuna di incontrarsi con p. Pio, subito dopo la Pasqua non del 1947, (come scrivono erratamente alcuni biografi), ma nel 1948, confessandosi e ascoltando la sua messa, si pone questo interrogativo. “Chi di voi non ricorda il fervore col quale p. Pio riviveva nella messa la passione di Cristo?” (ib). Piú che celebrare la messa, p. Pio la viveva come immolazione cruenta, testimoniata da pezzuole, corporali e purificatoi, intrisi dal suo sangue. Messa-vita: Dalla messa ripartiva, ogni giorno, la sua totale dedizione e disponibilità nei confronti dei fratelli. La sua eucarestia, centro e cuore della sua esistenza sacerdotale, durava il tempo di tre messe, ma nessuno si stancava, nessuno si accorgeva del correre del tempo. Ricordo, da piccolo, quando d’estate andavo ad ascoltare la messa delle ore 5.00, che, nonostante mi recassi, a piedi, dal centro della città di S. G. R. (sono circa due chilometri), non sentivo alcuna stanchezza. Ero attirato, da non so che cosa, a guardare, con meraviglia, a quell’altare, in un primo momento nella chiesetta e dal luglio 1959 nella chiesa grande. Gli occhi erano come ipnotizzati e guardavano fissi sull’altare p. Pio, diventato un crocifisso e una vittima vivente, soprattutto quando pronunziava, con uno sforzo indicibile: “Hoc est corpus meum. Hic est sanguis meus” (= Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue.). Una forza irresistibile l’attraeva all’altare, dove per ore e ore, di giorno e di notte, rimaneva in intimo colloquio con Gesú eucarestia. Egli scriveva, a tal proposito, a p. Benedetto Nardella, l’8 settembre 1911: “I battiti del cuore, allorché mi trovo con Gesú sacramentato, sono molto forti. Sembrami, alle volte, che voglia proprio uscirsene dal petto” (Ep. I, 234). Le sue lacrime, durante la celebrazione eucaristica, non erano segno di debolezza, ma un “dono” di Dio e una sua finezza di animo. Una volta, anzi, si facevano preghiere nella liturgia, nelle cosiddette “collette imperate”, per chiedere il “dono delle lacrime”. L’altare scandiva il suo tempo: i giorni e le notti. La preparazione alla messa era una veglia prolungata e, il resto della giornata, un infuocato ringraziamento. Le sue parole, inviate a p. Benedetto, il 29 marzo 1911, ne sono una conferma: “Ho fame e sete prima di riceverlo, che poco manca che non muoio d’affanno…E questa fame e sete anziché rimanere appagata, dopo che l’ho ricevuto in sacramento, si accresce sempre piú” (Ep. I, 217). L’altare per lui aveva molteplici funzioni. Era la fonte zampillante “d’acqua viva”, che serviva a rinfrescare le anime del purgatorio e a estinguere il bruciore delle passioni umane. Da lí attingeva l’acqua, per innaffiare le “pianticelle”, che da lui erano state “rigenerate a Gesú nell’amore e nel dolore”. Era la fornace ardente e inestinguibile per la sua carità pastorale, offrendosi quotidianamente come vittima a Dio a favore dei fratelli. Infine, era anche il luogo di rifornimento di sangue, che poi versava, in oblazione espiatoria, per i suoi e altrui peccati.
2ª domanda: “Cosa ci suggerisce p. Pio su questo sacramento?”.
P. Pio, non solo ha vissuto di eucarestia, ma ha voluto che anche tutti i suoi figli spirituali se ne nutrissero costantemente, per arricchirsi di tutti i doni, che essa comporta. Nella lettera del 26-6-’13, al p. Agostino, leggiamo: “Non deve mai tralasciare di satollarsi del cibo degli angeli. Molte saranno le tentazioni che ne riceverà dal nemico, che non ignora il vantaggio che da questo cibo ne riceverà la sua anima e molte altre ancora per lei, ma non si spaventi affatto. Gesú promette che non lascerà di assisterla” (Ep. I, 379). Egli era solito ripetere: “Nella messa c’è tutto il Calvario”. Durante la lunghissima sua “via crucis”, ha trovato pochissimi “cirenei”, che l’aiutassero. Tra questi, c’è certamente fra’ Daniele Natale, come lui stesso, spesso ripeteva: “F. Daniele è uno dei pochi, che sa imitarmi nella sofferenza!”. Ha affermato che “la terra potrebbe reggersi senza il sole, ma non un solo giorno senza la messa”. Noi suoi cordigeri-araldini, dopo la celebrazione della messa, avevamo la possibilità di fargli delle domande. Una volta gli chiesi: “Padre spirituale, si è obbligati ad andare alla messa la domenica?”. Egli mi rispose: “Uaglio’, tu sei obbligato ad abbracciare e baciare tuo padre e tua madre?”. “No”, risposi. E lui: “Allora, se lo fai, è perché li ami”. Che lezione, in poche parole! Alcuni partecipano all’eucarestia domenicale, come se facessero un favore a Dio o per tranquillizzare la propria coscienza o, infine, solo per farsi “vedere”. L’incontrarsi con Dio, invece, dovrebbe essere un immenso piacere, una immensa gioia, dovrebbe essere un intenso momento di paradiso e una forte necessità di andar a ringraziare Dio, che, come Padre-Madre, ci ama infinitamente e teneramente.
Conclusione
Caro telespettatore, tramite l’eucarestia, un pezzo di eternità fa irruzione nella storia e viene a toccare la mia e la tua vita. Per me e per te, quel “povero” banchetto, in cui si mangia un po’ di pane e si beve un po’ di vino, è il sacrificio, che salva il mondo. Per me e per te l’eucarestia è uno “squarcio di cielo in terra”, perciò non è un “pio esercizio”, accanto a tanti altri, fatto in fretta, per dedicarci a cose piú “importanti”, ma è il cuore della mia e della tua vita, perché quel cibo, venuto dal cielo, mi e ti sazia, mi e ti rende immortale. Grazie, o Gesú, del dono dell’eucaristia!
Barzelletta
Mi trovavo a predicare la novena in onore di s. Rita a Vico del Gargano FG. Un giorno, una donna “dalla lingua facile”, mi disse: “Grazie, padre Pio Capuano, delle belle cose, che ci dici! Mi devo complimentare per la tua voce forte e chiara! Sai che io abito, affianco alla chiesa, perciò non ho bisogno neppure di venire in chiesa, per ascoltare la tua omelia! Basta che io apra la finestra!”. E io, che la conoscevo molto bene, da quando ero collegiale, lí, a Vico del Gargano: “Signora, con quella lingua, che hai, da casa tua, potresti farti anche la comunione!”.
Padre Pio e sorella morte
Siamo nel mese, che la Chiesa ha dedicato, consacrato ai nostri cari defunti: il mese di novembre. Tutti, chi prima,...